
Mio sodalizio con De Pisis
Testimonianza di una grande amicizia, «la più grande amicizia del secolo», Mio sodalizio con De Pisis è un libro di memorie, scritto con il tono e il ritmo disordinato della tenerezza.
Comisso racconta la vita di un artista e amico, getta lo sguardo ai ricordi degli incontri quando insieme, «divini ragazzi», attraversavano Roma e Parigi alla ricerca di nuove ebbrezze e piaceri; e sempre con lo stupore del primo incontro di fronte alla spregiudicatezza ingenua di De Pisis nell’inventarsi e godere «di quella selvaggia e satanica libertà».
Il racconto inizia con gli anni degli incontri a Roma, quando De Pisis comincia a dipingere per giustificare come studio l’alcova dove invita i ragazzi; e attraversa gli anni di Parigi, «le inaudite meraviglie» gustate insieme con il successo artistico e mondano: «Tutta la città sembrava creata per lui, per la sua libertà e il suo gusto di pittore… La sua mano si era fatta libera e audace alla pari con la sua vita». Sono gli anni migliori per De Pisis e per la loro amicizia.
Con la sua incantevole scioltezza verbale, Comisso compone un racconto che ha lo stile della pittura di De Pisis, leggero, distratto e goloso, come ha scritto Parise, senza la minima tensione o forzatura, nello stesso italiano dolce e luminoso di Delfini, Penna e dello stesso Parise. E questa stessa dolcezza, che è poi tenerezza per la vita, lo assiste anche nel racconto degli ultimi tragici anni dell’amico, segnati dalla malattia e dalla reclusione in clinica: «nel corridoio i nostri passi andavano concordi come quando si andava prepotenti e felici per le strade di Parigi e Cortina»; e giunge ad accoglierci tutti nel pensiero finale: «noi siamo soltanto magnifiche onde in attesa sempre di disfarci nel crollo».
Comisso racconta la vita di un artista e amico, getta lo sguardo ai ricordi degli incontri quando insieme, «divini ragazzi», attraversavano Roma e Parigi alla ricerca di nuove ebbrezze e piaceri; e sempre con lo stupore del primo incontro di fronte alla spregiudicatezza ingenua di De Pisis nell’inventarsi e godere «di quella selvaggia e satanica libertà».
Il racconto inizia con gli anni degli incontri a Roma, quando De Pisis comincia a dipingere per giustificare come studio l’alcova dove invita i ragazzi; e attraversa gli anni di Parigi, «le inaudite meraviglie» gustate insieme con il successo artistico e mondano: «Tutta la città sembrava creata per lui, per la sua libertà e il suo gusto di pittore… La sua mano si era fatta libera e audace alla pari con la sua vita». Sono gli anni migliori per De Pisis e per la loro amicizia.
Con la sua incantevole scioltezza verbale, Comisso compone un racconto che ha lo stile della pittura di De Pisis, leggero, distratto e goloso, come ha scritto Parise, senza la minima tensione o forzatura, nello stesso italiano dolce e luminoso di Delfini, Penna e dello stesso Parise. E questa stessa dolcezza, che è poi tenerezza per la vita, lo assiste anche nel racconto degli ultimi tragici anni dell’amico, segnati dalla malattia e dalla reclusione in clinica: «nel corridoio i nostri passi andavano concordi come quando si andava prepotenti e felici per le strade di Parigi e Cortina»; e giunge ad accoglierci tutti nel pensiero finale: «noi siamo soltanto magnifiche onde in attesa sempre di disfarci nel crollo».