
La figlia del boia e il monaco nero
1660, Baviera. In una fredda giornata d’inverno Simon Fronwieser, medico di Schongau, accorre nella chiesa di San Lorenzo su invito della locale perpetua. A pochi passi dall’abside si imbatte nel cadavere del curato del paese, crollato a terra dopo essersi rimpinzato di frittelle. Fronwieser non ci pensa su due volte a chiamare l’unico in grado di aiutarlo: il boia Kuisl. Alto quasi due metri, la barba nera e spinosa, le lunghe dita ricurve simili ad artigli, il boia di Schongau è ritenuto da tutti un’autorità: non soltanto «come scorticatore» e maestro di spada, ma anche nella scienza delle erbe medicinali e delle piante velenose. E Kuisl, difatti, non impiega molto a capire che il parroco è stato avvelenato. Ma chi può aver ucciso quel placido e umile servitore di Dio? Compiute le prime indagini – aiutato dalla figlia Magdalena, dall’amico medico Simon e dalla sorella del sacerdote defunto, Benedikta – Kuisl scopre che la vittima era sulle tracce di un tesoro che superava «ogni più sfrenata immaginazione», nascosto in Baviera dal Maestro dei templari Friedrich Wildgraf, dopo lo scioglimento dell’ordine. A dargli la caccia, però, il parroco non era il solo: una confraternita di frati domenicani «astuti ed eruditi, disposti a sporcarsi le mani al posto del Papa» gli stava alle calcagna. Tra bande di briganti violenti, incendi dolosi e l’inaspettato ritrovamento di un oggetto sacro, nella loro indagine, Kuisl, Simon e Magdalena dovranno soprattutto fare i conti con l’avidità e le menzogne che albergano nella cittadella della vicina Augusta, sede del vescovado e delle dimore dei commercianti più ricchi della città. Dopo l’enorme successo internazionale de La figlia del boia – tradotto in oltre venti paesi – Oliver Pötzsch mette in scena un thriller storico «ricco di dettagli» (Publishers Weekly), impreziosito da uno stile avvincente e una trama perfetta, e con un protagonista memorabile: l’impavido e generoso boia Kuisl.