Neri Pozza Editore | Piera Ventre
 
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Piera Ventre

Piera Ventre è nata a Napoli e vive a lavora a Livorno. Palazzokimbo (Neri Pozza, 2016) è stato finalista alla seconda edizione del Premio Neri Pozza e ha vinto il Premio Pavoncella. Sette opere di misericordia (Neri Pozza, 2020), selezionato per il Premio Strega 2020 e vincitore del Premio Procida - Isola di Arturo - Elsa Morante. Le stanze del tempo (Neri Pozza, 2021), finalista al Premio I Fiori Blu, al Premio Settembrini e al Premio Letterario Chianti.

I LIBRI

Gli spettri della sera

Piera Ventre

«È bello arrivarci col tramonto, a Sansenesio…Con la luce radente che si posa sulle cose sembra, chissà perché, che tutto sia irreale, come sospeso». In un giorno di agosto degli anni Ottanta, Stella, sedici anni e il «sogno americano» in testa, coltivato sulle pagine di On the Road, e suo cugino Michele, dieci anni scarsi e il naso ficcato sempre in qualche libro, arrivano in un piccolo borgo del Monferrato. Partiti dalla stazione centrale di Napoli, si ritrovano in un paesaggio di vigneti arrampicati sulle colline, dove, a ridosso di una strada provinciale cinta da pali della luce su cui si appollaiano spesso falchetti, nibbi e poiane, si erge il cascinale di Rensín. Con i calzoni macchiati dalle gore di grasso del trattore, un rigo nero di terra sotto le unghie, Rensín vive in quella casa da quando è nato. Quando assomigliava a Mastroianni, ha fatto breccia nel cuore di Marina, la zia di Stella che lavorava in una clinica a Napoli come inserviente prima di trasferirsi nel Munfrà, il nomignolo fraterno con cui Rensín chiama il Monferrato. In quel cascinale del Munfrà, Stella, Michele e poi Angela, la sorella di Stella, assisteranno, nel corso degli anni, allo svolgersi delle vite racchiuse tra quelle mura. Alla vita della zia Marina, innanzi tutto, che sarchierà la terra, legherà le viti, raccoglierà le uova dal pollaio, ma resterà sempre prigioniera di un amore impigliato, incapace di sciogliersi dalla trama del destino. A quella di Rensín, che, attaccato alle leggi della terra, tratterà le bestie da bestie finché non si ammalerà. Alla vita, infine, di Lodovina, la nonna piccola, bassina, con la bocca grande e gli occhi enormi e distanziati, che narrerà degli spettri celati in ogni casa, in ogni famiglia, in ogni paese, spettri che non l’aiuteranno, però, ad alleviare la spietata durezza della vecchiaia. Vite appartate, lontane dai clamori della Storia, vite tuttavia che hanno il proprio posto nel mondo e, sapendo che l’amore si nutre soltanto della creatura che lo genera, sono capaci di cogliere gli istanti di felicità che l’esistenza riesce a elargire. Omaggiando la terra che ha dato i natali a Pavese, a Fenoglio, a Revelli, con Gli spettri della sera Piera Ventre celebra ciò che alimenta da sempre la civiltà del vivere: l’incontro tra generazioni diverse in un luogo in cui nulla risulta estraneo a chi vi dimora, nemmeno gli spettri.

Le stanze del tempo

Piera Ventre

Cosa significa raccontare delle stanze? Entrare in luoghi privati, nascosti, discreti e cercare tra pareti e corridoi, camere e luci che passano dalle finestre i fili di tante storie? È Piera Ventre a dircelo, nel suo modo, con la sua scrittura densa e precisa. E allora cosa accade se in una casa si accende un fuoco? Oppure se va via la luce, ed entrano insetti e briganti? E se in una casa si smarriscono gli oggetti, saremmo capaci di ritrovarli o dovremmo rassegnarci alla loro misteriosa sparizione? La vita che abita le stanze è quasi sempre segreta e inviolabile giacché le case, in fondo, altro non sono che tane nelle quali ciascuno rivela sé stesso.

La donna che dice «io» in queste pagine in realtà dice «noi» e il suo sguardo, che setaccia le abitazioni in cui ha vissuto e le case degli altri, non si posa unicamente sugli oggetti, sulle pareti – e sui corpi che tra quelle pareti si muovono – ma sul quotidiano che talora emerge dalle cose che ci appaiono più innocue e familiari.
Nel raccontare questi interni, come nei tableaux vivants, le inesattezze trovano corrispondenze esistenziali. E i dettagli sono specchio di qualcosa di profondo, sedimento del tempo, delle innumerevoli ore che ciascuno di noi trascorre nel luogo che ci ostiniamo a chiamare «casa».

In queste trame coerenti di storie che si aprono una sull’altra come fossero stanze sconosciute, Piera Ventre conferma il suo grande talento di scrittrice. Ci fa immergere in quel battito del tempo che le case portano con sé. Dentro memorie e vite distanti che rinunciamo a conoscere del tutto, per lasciare alla nostra coscienza un intervallo, un’attesa, una lieve imprecisione in cui poter liberamente inciampare.

L'allegra brigata

Sandra Petrignani, Novita Amadei, Wanda Marasco, Francesca Diotallevi, Piera Ventre, Antonella Ossorio, Eleonora Marangoni, Giuseppe Munforte, Roberto Cotroneo, Emanuele Trevi, Olivier Guez

In un periodo di grande incertezza e angoscia, come quello vissuto durante la primavera del 2020, agiscono i protagonisti de L’allegra brigata: sette scrittrici e tre scrittori che decidono di sottrarsi alla cupa realtà delle ore segnate dalla pandemia cercando rifugio virtuale nella forza della narrazione. Ogni giorno, per dieci giorni di fila, ispirandosi ai temi che hanno delineato le giornate immaginate da Giovanni Boccaccio nel Decamerone, i dieci scrittori si raccontano, via computer, a turno, delle storie per intrattenersi ed emozionarsi vicendevolmente.
Lo schermo del pc si trasforma nel locus amoenus davanti al quale riescono ad allontanarsi, per un breve momento, da quell’orrore che già Dante aveva collocato all’inferno e che Boccaccio aveva riposizionato sulla terra. Il risultato di questi appuntamenti virtuali è un’antologia costruita dal coro delle voci di alcuni degli autori piú noti della casa editrice Neri Pozza. Una sorta di piccolo Decamerone 2.0 da leggere e rileggere lasciandosi guidare da temi e narratori. Dal monito del destino che può assumere fattezze animali, come quelle del lupo che domina il racconto di Piera Ventre, alle lubriche avventure della giovane latinista graziata dalla quarantena di Sandra Petrignani. Dalla gelosia claustrofobica e dall’attrazione illusoria descritte da Roberto Cotroneo, al vagheggiamento di un amore inconsistente come quello tratteggiato da Francesca Diotallevi, o quello inaspettatamente concreto raccontato da Giuseppe Munforte. Dalle arguzie di un arzillo pensionato protagonista della novella di Novita Amadei, al destino che si beffa di chi crede di poterlo dominare, come accade all’amica infelice descritta da Eleonora Marangoni e alla sgangherata coppia nonno- nipote di cui si burla Antonella Ossorio. E ancora, dall’amore travagliato e doloroso che si fa poesia grazie alla lingua di Wanda Marasco fino a quello infedele e gaudente dello scrittore francese Olivier Guez. Personaggi e vicende, cui Emanuele Trevi, libero da ogni vincolo d’argomento, offre, nell’intervento conclusivo, una sua personale «cornice».

Sette opere di misericordia

Piera Ventre

Napoli, giugno 1981. La casa è nel cimitero della città. Una città che è a stento in piedi, piena di puntelli, intelaiata di tubi Innocenti aggrappati al tufo, di palazzi vacillanti e inabitati dove l’oscurità e l’umido la fanno da padroni.

Cristoforo Imparato fa il custode del cimitero. Il vetro al posto dell’occhio che una scheggia di granata si è portato via, non è stato sempre un camposantiere. Impiegato in una tipografia, era riuscito ad avere persino un paio di stanzucce a Materdei, un quartiere al centro della città. Ma poi, fallita la tipografia, l’esistenza sua, e di Luisa, Rita e Nicola, la moglie e i figli, si è arrevutata, come dice lui. Cosí, Cristoforo ha scavato un fosso nel dispiacere tumulandoci qualsiasi sconforto subíto e inflitto.
A casa Imparato trovano un giorno asilo Rosaria, una ragazza amica di Rita che, rimasta incinta, non sa se ammantare di menzogna il suo sbaglio, e Nino, il giovane dal nome corto, il figlio del compare di nozze di Cristoforo e Luisa, ospite a Napoli prima di trasferirsi in Germania. Nino fa amicizia con Nicola, il bambino di casa, gli chiede le cose sulla luna, vuole guardare col suo telescopio, poi un giorno scompare, lasciando un cardillo e una caiòla per donna Luisa, «per le sue cortesie, e per il disturbo».
Che misericordia e castigo siano cosí intrecciati da confondersi è la cruda verità che travolge casa Imparato in quell’estate del 1981, l’estate in cui Alfredino Rampi cade nel pozzo a Vermicino e la salvezza del bambino è invano attesa «come la nascita di un Cristo Redentore».
Splendida conferma del talento di Piera Ventre, Sette opere di misericordia è uno dei romanzi piú importanti mai apparsi su un periodo cruciale della nostra storia recente, quello in cui una città – la Napoli post-terremoto – e il paese intero si misurarono con la perdita dell’innocenza.

Palazzokimbo

Piera Ventre
Nella prima metà degli anni Settanta, Stella, detta a scuola stelladamore, col nome attaccato al cognome, ha un palazzo intero per madre. A Napoli, tutti lo chiamano Palazzokimbo per via dell’enorme insegna pubblicitaria che campeggia sul tetto. Chili e chili di ringhiere, porte blindate, chiavistelli… un clangore di ferro risuona per i suoi otto piani, fino alla cima, una distesa asfaltata e ricoperta di antenne, da cui si scorge tutta la città, compresa la striscia di mare dove si erge la Saint-Gobain, la vetreria proprietaria degli appartamenti in cui vive il personale della fabbrica. Settanta famiglie di operai, come il papà di Stella, e impiegati ed elettricisti che hanno a che fare con silice, ossidi, nitrati e amianto, e rientrano a casa coi vestiti che sopra i baveri sembra vi sia uno spolvero di talco.
All’ottavo piano abita la famiglia D’Amore. Ci sono i genitori, zia Marina, la sorella signorina di papà, i nonni paterni, Stella e sua sorella Angela. C’è pure un gatto, battezzato Otto, per un semplice calcolo d’aggiunta. Tanti D’Amore, e ciascuno con un passo e una voce, un modo di sbattere le porte, di strascicare i piedi, di richiudere sportelli, di calibrare il volume della televisione.
Quattro piani sotto vive la signora Zazzà, che calza sempre le pantofole, indossa una quantità di stracci variopinti e cela un segreto che nessuno conosce.
Quando non si aggira per Palazzokimbo, Stella trascorre il tempo incantato della sua infanzia con Consiglia, l’amica del cuore coi capelli rossi che le sfiammano lampi sulle spalle, le guance accese e la lingua velenosa.
Nel ventre di Palazzokimbo penetrano, però, anche i fatti di fuori, gli eventi terribili della fine degli anni Settanta: la deindustrializzazione, il rapimento Moro, la strage di Bologna… L’esistenza dignitosa della brulicante umanità di Palazzokimbo appare allora soltanto come una fugace parentesi, e l’infanzia incantata di Stella come un breve preludio alla consapevolezza dei guasti della vita che l’età adulta dona.
Finalista al Premio Neri Pozza 2015, Palazzokimbo svela il talento di una scrittrice capace di dare nuova linfa al romanzo di formazione e di restituirci con brio e impeccabile scrittura l’atmosfera dell’Italia degli anni Settanta.
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