Neri Pozza Editore | Tracy Chevalier
 
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Tracy Chevalier

Tracy Chevalier è nata a Washington nel 1962. Nel 1984 si è trasferita in Inghilterra, dove ha lavorato a lungo come editor. Il suo primo romanzo è La Vergine azzurra (Neri Pozza 2004, beat 2011, 2015). Con La ragazza con l’orecchino di perla (Neri Pozza 2000, 2013) ha ottenuto, nei numerosi paesi in cui il libro è apparso, un grandissimo successo di pubblico e di critica. Bestseller internazionali sono stati anche i suoi romanzi successivi: Quando cadono gli angeli (Neri Pozza 2002, beat 2012), La dama e l’unicorno (Neri Pozza 2003, beat 2014), L’innocenza (Neri Pozza 2007, 2015), Strane creature (Neri Pozza 2009, beat 2014), L’ultima fuggitiva (Neri Pozza 2013, 2014), I frutti del vento (Neri Pozza 2016) e La ricamatrice di Winchester (2020).

www.tchevalier.com

I LIBRI

I frutti del vento

Tracy Chevalier

Nella prima metà del XIX secolo James e Sadie Goodenough giungono nella Palude Nera dell’Ohio dopo aver abbandonato la fattoria dei Goodenough nel Connecticut.
La Palude Nera è una landa desolata: l’acqua puzza di marcio, il fango scuro si appiccica alla pelle e ai vestiti e la malaria d’estate si porta via sempre qualcuno. Anziché spingersi nella prateria dove la terra è buona e solida sotto i piedi, Goodenough decide però di costruire la sua casa di legno proprio nella Palude Nera, in riva al fiume Portage.
La legge dell’Ohio prevede che un colono possa fare sua la terra se riesce a piantarvi un frutteto di almeno cinquanta alberi. Una sfida irresistibile per James che ama gli alberi più di ogni altra cosa. In quella terra perciò, dove gli acquitrini si alternano alla selva più fitta, pianta e cura poi con dedizione i suoi meli: un magnifico frutteto di cinque file di alberi col piccolo vivaio in disparte. Un frutteto che diventa la sua ossessione.
La moglie, Sadie, beve troppa acquavite e diventa troppo ciarliera quando John Chapman, l’uomo che procura i semi delle piante alle fattorie lungo il Portage, si ferma a cena. Finché, un giorno, la natura selvaggia non della terra, ma di Sadie, esplode e segna irrimediabilmente il destino dei Goodenough nella Palude Nera.
Romanzo che si iscrive nella tradizione della grande narrativa americana di frontiera, I frutti del vento è un’opera in cui Tracy Chevalier penetra nel cuore arido, selvaggio e inaccessibile della natura e degli uomini, là dove crescono i frutti più ambiti e più dolci che sia dato cogliere.

La ragazza con l'orecchino di perla

Tracy Chevalier

Delft, XVII secolo, una casa nella zona protestante della città… Griet, la giovane figlia di uno dei decoratori di piastrelle più rinomati di Delft, è in cucina, intenta a sistemare, com’è solita fare, le verdure tritate, quando ode voci decisamente insolite nella casa di un modesto decoratore… voci che suggeriscono “immagini di tappeti preziosi, libri, perle e pellicce”. Sull’uscio, compaiono improvvisamente due figure: un uomo dagli occhi grigi come il mare e un’espressione ferma sul volto lungo e spigoloso, e una donna – piccoli ricci biondi, sguardo che guizza qua e là nervosamente – che sembra portata dal vento, benché la giornata sia calma. Sono Johannes Vermeer, il celebre pittore, e sua moglie Katharina, gente ricca e influente, proveniente da vicino, dal Quartiere dei Papisti, eppure lontanissima da Griet e dal suo mondo. Griet ha sedici anni e quel giorno apprende dalla voce della madre il suo destino: andrà a servizio dei Vermeer per otto stuiver al giorno, dovrà fare le pulizie nell’atelier del pittore, e dovrà agire delicatamente senza spostare né urtare nulla.
Nella casa dei Vermeer, tra l’artista e la serva, l’uomo potente e la giovane donna che non possiede altro che il suo incanto e la sua innocenza, si stabilisce un’intensa relazione fatta di sguardi, sospiri, frasi dette e non dette.
Invisa a Katharina, gelosa della sua intima relazione col marito, costretta a subire i rimproveri di Maria Thins, la suocera del pittore, Griet non cessa per un solo istante di ubbidire all’amore per l’arte e alla passione che la muove. Gesto inaudito per la morale del tempo, poserà con le labbra sensualmente dischiuse per quel ritratto di Vermeer (La ragazza col turbante) che è giunto fino a noi, e non cessa di stupirci per l’enigmaticità dello sguardo che vi è dipinto. 
Romanzo che ci conduce con straordinaria precisione là dove l’arte è divisa dai fantasmi della passione soltanto da una linea sottile, La ragazza con l’orecchino di perla ci offre anche alcune delle pagine più felici, nella narrativa contemporanea, sulla dedizione e sul coraggio femminile.

La ragazza con l'orecchino di perla

Tracy Chevalier

Delft, XVII secolo. Griet, la giovane figlia di uno dei decoratori di piastrelle più rinomati di Delft, è in cucina, intenta a sistemare, com’è solita fare, le verdure tritate, quando ode voci decisamente insolite nella casa di un modesto decoratore. Sull’uscio, compaiono improvvisamente due figure: un uomo dagli occhi grigi come il mare e un’espressione ferma sul volto lungo e spigoloso, e una donna – piccoli ricci biondi, sguardo che guizza qua e là nervosamente – che sembra portata dal vento, benché la giornata sia calma. Sono Johannes Vermeer, il celebre pittore, e sua moglie Katharina, gente ricca e influente, proveniente da vicino, dal Quartiere dei Papisti, eppure lontanissima da Griet e dal suo mondo. Griet ha sedici anni e quel giorno apprende dalla voce della madre il suo destino: andrà a servizio dei Vermeer per otto stuiver al giorno, dovrà fare le pulizie nell’atelier del pittore, e dovrà agire delicatamente senza spostare né urtare nulla.
Nella casa dei Vermeer, tra l’artista e la serva, l’uomo potente e la giovane donna che non possiede altro che il suo incanto e la sua innocenza, si stabilisce un’intensa relazione fatta di sguardi, sospiri, frasi dette e non dette.
Invisa a Katharina, gelosa della sua intima relazione col marito, costretta a subire i rimproveri di Maria Thins, la suocera del pittore, Griet non cessa per un solo istante di ubbidire all’amore per l’arte e alla passione che la muove. Gesto inaudito per la morale del tempo, poserà con le labbra sensualmente dischiuse per quel ritratto di Vermeer (La ragazza col turbante) che è giunto fino a noi, e non cessa di stupirci per l’enigmaticità dello sguardo che vi è dipinto.
Romanzo che ci conduce con straordinaria precisione là dove l’arte è divisa dai fantasmi della passione soltanto da una linea sottile, La ragazza con l’orecchino di perla ci offre anche alcune delle pagine più felici, nella narrativa contemporanea, sulla dedizione e sul coraggio femminile.

L'innocenza

Tracy Chevalier

È il 1792 a Londra, e il traffico è intenso in Hercules Buildings: ventidue case a schiera di mattoni con un piccolo giardino sul davanti e un pub a ciascuna estremità della strada.
Nel trambusto di carrozze, cavalli e barrocci, i Kellaway trasportano all’interno del numero 12 le loro masserizie trainate su un carro dalla lontanacampagna del Dorsetshire: sedie Windsore pezzi di tornio, accette, scalpelli, cerchi di legno, gli arnesi utili a Thomas Kellaway, il capofamiglia, per lavorare a Londra come carpentierenel celebre circo di Philip Astley.
È il mese di marzo e il caldo e il frastuono sono insopportabili. Il baccano sembra però cessareall’improvviso quando i giovani Kellaway, il dodicenne Jem e sua sorella Maisie, scorgono un uomo attraversare la strada. Robusto, la faccia larga, la fronte spaziosa, la carnagione pallida, vestito semplicemente, camicia bianca, giacca e brache nere, e un bizzarro berretto in testa, un bonnet rouge, il copricapo con la coccarda blu, bianca e rossa della Rivoluzione francese, l’uomo avanza spedito.
È uno degli abitanti più noti degli Hercules Buildings: William Blake, l’artista, il poeta che stampa «strani libretti» e inneggia alle idee che incendiano il paese dall’altra parte della Manica.
Così comincia questo romanzo, che a ritmo incalzante conduce il lettore davanti a tutti i suoi temi: l’amore pericoloso di Maisie per John Astley, gli spettacoli maliardi del Circo Astley, le strade brulicanti della Londra di fine Settecento, con le sue miserie e il suo splendore, e la straordinaria figura di William Blake, l’autore dei Canti dell’innocenza e dell’esperienza, con le sue folgoranti, improvvise apparizioni.

L'ultima fuggitiva

Tracy Chevalier

È il 1850 quando Honor e Grace Bright si imbarcano sull’Adventurer, un grande veliero in partenza dal porto inglese di Bristol per l’America. A Faithwell, un villaggio dell’Ohio, Adam Cox, un uomo anziano e piuttosto noioso, attende Grace per prenderla in sposa.
Una volta giunte in Ohio, però, a un passo da Faithwell, Grace si ammala di febbre gialla e, tra le misere mura di un albergo, muore. Honor Bright si ritrova così sola in una nazione enorme ed estranea, divisa da un immenso oceano dall’amato Dorset. Non le resta perciò che Adam Cox come unica ancora di salvezza.
A Faithwell viene, tuttavia, accolta con freddezza dall’uomo. Sconcertante è inoltre la scoperta che, nell’America della metà del XIX secolo, i neri sono ancora ridotti in schiavitù.
Il villaggio si trova, infatti, nei pressi di un crocevia dove si accalcano i coloni diretti a ovest in cerca di terra da coltivare, gli schiavi in fuga verso nord e i cacciatori di schiavi pagati dai proprietari di piantagione per riportare indietro i fuggitivi. Per non venir meno ai saldi principi di rettitudine cui è stata educata in Inghilterra, Honor decide di aiutare gli schiavi in fuga. Una scelta pericolosa nel cuore dell’America schiavista.
Romanzo che conduce il lettore in un tempo cruciale della storia americana, dove i grandi temi della crudeltà e dell’eroismo, dell’onore e della passione, della viltà e del coraggio trovanoun fertile terreno, L’ultima fuggitiva è una splendida conferma del talento dell’autrice della Ragazza con l’orecchino di perla.

I frutti del vento

Tracy Chevalier

Nella prima metà del XIX secolo James e Sadie Goodenough giungono nella Palude Nera dell’Ohio, una landa desolata dove l’acqua puzza di marcio, il fango si appiccica alla pelle e ai vestiti e la malaria d’estate si porta via sempre qualcuno. In quella terra, tuttavia, James decide di costruire la sua casa di legno e di piantare i suoi meli: un magnifico frutteto di cinque file di alberi col piccolo vivaio in disparte. Un frutteto che diventa la sua ossessione, la prova, ai suoi occhi, che la natura selvaggia della terra, con il suo groviglio di boschi e pantani, si può domare.
La malaria si porta via cinque dei dieci figli dei Goodenough e spinge Sadie a bere troppa acquavite. Quando John Chapman, l’uomo che procura i semi delle piante alle fattorie, si ferma a cena, Sadie diventa troppo ciarliera, e James la vede con altri occhi: scorge il turgore dei seni sotto il vestito azzurro, i fianchi rotondi e sodi nonostante i dieci figli. Ma poi non se ne cura.
Finché, un giorno, la natura selvaggia non della terra, ma di Sadie esplode e segna irrimediabilmente il destino dei Goodenough nella Palude Nera, in primo luogo quello di Robert, il figlio dagli occhi d’ambra quieti e intelligenti, e della dolce e irresoluta Martha.
Romanzo che si iscrive nella tradizione della grande narrativa americana di frontiera, I frutti del vento è un’opera in cui Tracy Chevalier penetra nel cuore arido, selvaggio e inaccessibile della natura e degli uomini, là dove crescono i frutti più ambiti e più dolci che sia dato cogliere.

La ricamatrice di Winchester

Tracy Chevalier

Winchester, 1932. A trentotto anni Violet Speedwell sembra ormai inesorabilmente destinata a un’esistenza da zitella. La Grande Guerra ha preteso il suo tributo: il suo fidanzato, Laurence, è caduto a Passchendaele insieme a migliaia di altri soldati, e ora le «donne in eccedenza» come lei, donne rimaste nubili e con scarse probabilità di convolare a nozze, sono ritenute una minaccia, se non una vera e propria tragedia per una società basata sul matrimonio.
Dopo essersi lasciata alle spalle la casa di famiglia di Southampton, e le lamentele della sua soffocante madre, ferma all’idea che dovere di una figlia non sposata sia quello di servire e riverire i genitori, Violet è più che mai intenzionata a vivere contando sulle proprie forze.
A Winchester riesce in breve tempo a trovare lavoro come dattilografa per una compagnia di assicurazione, e ad aver accesso a un’istituzione rinomata in città: l’associazione delle ricamatrici della cattedrale.
Fondata dalla signorina Louisa Pesel e diretta con pugno di ferro dall’implacabile signora Biggins, l’associazione, ispirata a una gilda medievale, si richiama a un’antica tradizione: il ricamo di cuscini per i fedeli, vere e proprie opere d’arte destinate a durare nei secoli. Sebbene la Grande Guerra abbia mostrato a Violet come ogni cosa sia effimera, l’idea di creare con le proprie mani qualcosa che sopravviva allo scorrere del tempo rappresenta, per lei, una tentazione irresistibile.
Mentre impara la difficile arte del ricamo, Violet stringe amicizia con l’esuberante Gilda, i capelli tagliati alla maschietta, la parlantina svelta e un segreto ben celato dietro i modi affabili, e fa la conoscenza di Arthur, il campanaro dagli occhi azzurri e luminosi come schegge di vetro. Due incontri capaci di risvegliare in lei la consapevolezza che ogni destino può essere sovvertito se si ha il coraggio di sfidare i pregiudizi del tempo. Due incontri che insegnano anche che basta a volte un solo filo per cambiare l’intera trama di una vita.
A vent’anni dalla pubblicazione de La ragazza con l’orecchino di perla, Tracy Chevalier torna con un impeccabile romanzo, capace di evocare meravigliosamente l’atmosfera dell’Inghilterra degli anni Trenta e di offrire al lettore una storia senza tempo che «renderebbe orgogliosa Jane Austen» (USA Today).

La dama e l'unicorno

Tracy Chevalier

È un giorno della Quaresima del 1490 a Parigi, un giorno davvero particolare per Nicolas des Innocents, pittore di insegne e miniaturista conosciuto a corte per la sua mano ferma nel dipingere volti grandi come un'unghia, e al Coq d'Or e nelle altre taverne al di qua della Senna per la sua mano lesta con le servette di bell'aspetto.
Jean Le Viste, il signore dagli occhi come lame di coltello, il gentiluomo le cui insegne sono ovunque tra i campi e gli acquitrini di Saint-Germain-des-Prés, proprio come lo sterco dei cavalli, l'ha invitato nella Grande Salle della sua casa al di là della Senna e in quella sala disadorna, nonostante il soffitto a cassettoni finemente intagliato, gli ha commissionato non stemmi imponenti o vetrate colorate o miniature delicate ma arazzi per coprire tutte le pareti. Arazzi immensi che raffigurino la battaglia di Nancy, con cavalli intrecciati a braccia e gambe umane, picche, spade, scudi e sangue a profusione.
Una commissione da parte di Jean Le Viste significa cibo sulla tavola per settimane e notti di bagordi al Coq d'or, e Nicolas, che può resistere a tutto fuorché alle delizie della vita, non ha esitato un istante ad accettare.
Non ha esitato, però, nemmeno ad annuire davanti alla proposta di Geneviève de Nanterre, moglie di Jean Le Viste e signora di quella casa. Forse perché incantato dalle grazie di Claude, la giovane figlia dei Le Viste, una bellissima fanciulla dall'incarnato pallido, la fronte alta, il naso affilato e i capelli color miele, o forse perché intimorito dagli occhi neri come il ribes di Geneviève de Nanterre, Nicolas ha sorriso quando, nel chiuso della sua stanza, davanti a una finestra aperta che faceva da cornice a una splendida veduta di Saint-Germain-des-Prés, Geneviève gli ha ingiunto di non raffigurare cavalli, elmi o sangue sugli arazzi, ma una dama e un unicorno, simboli della seduzione, della giovinezza e dell'amore…
Attraverso la magia della narrazione, La dama e l'unicorno ci conduce davanti ai sogni, ai desideri e alle speranze che, alla fine del XV secolo nel nord della Francia, hanno generato una delle opere più misteriose e seducenti della storia dell'arte. Con la sua avvincente e impeccabile scrittura, un «torrente di immaginazione», capace di «convocare tutti i sensi» (Guardian), Tracy Chevalier ci mostra come la narrativa sia in grado di ridestare la forza poetica e il potere conturbante dell'arte.

L'ultima fuggitiva

Tracy Chevalier

È il 1850 quando Honor e Grace Bright si imbarcano sull'Adventurer, un grande veliero in partenza dal porto inglese di Bristol per l'America. Le due sorelle sono dirette a Faithwell, il villaggio dell'Ohio in cui Adam Cox, un uomo anziano e piuttosto noioso, attende Grace per prenderla in sposa. 
L'irrequieta Grace ha allacciato una corrispondenza epistolare con lui, culminata poi con la proposta di matrimonio, con l'intento di lasciarsi alle spalle l'angusta vita della piccola comunità di quaccheri in cui è cresciuta e abbracciare così nuove avventure. Una volta giunta in Ohio, però, a un passo da Faithwell, Grace si ammala di febbre gialla e, tra le misere mura di un albergo, muore. Honor si ritrova così sola in una nazione enorme ed estranea, divisa da un immenso oceano dall'amato Dorset. Non le resta perciò che Adam Cox come unica ancora di salvezza.
A Faithwell, tuttavia, viene accolta con freddezza dall'uomo e dalla cognata vedova. A turbare l'equilibrio di Honor non è, però, il comportamento di Cox, ma qualcosa di più grande che riguarda l'America della metà del XIX secolo, il Paese in cui i neri sono ancora ridotti in schiavitù. Il villaggio si trova, infatti, nei pressi di un crocevia dove si accalcano i coloni diretti a ovest in cerca di terra da coltivare, gli schiavi in fuga verso nord e i cacciatori di schiavi pagati dai proprietari di piantagione per riportare indietro i fuggitivi. Tra questi Donovan, un uomo sfrontato e attraente, con gli occhi di un castano chiaro che spiccano nel viso squadrato e una durezza senza pari nello sguardo.
Per non venir meno ai saldi principi di rettitudine cui è stata educata in Inghilterra, Honor decide di aiutare gli schiavi in fuga. Comincia di nascosto a offrire loro acqua e cibo e, in qualche caso, riparo. Una condotta a dir poco imprudente a Faithwell, che si unisce a una tentazione altrettanto pericolosa: cedere a un uomo i cui principi detesta, ma che è l'unico in grado di rimescolarle il sangue nelle vene.
Romanzo che conduce il lettore nel cuore dell'America schiavista, dove i grandi temi della crudeltà e dell'eroismo, dell'onore e della passione, della viltà e del coraggio trovano un fertile terreno, L'ultima fuggitiva è una splendida conferma del talento dell'autrice della Ragazza con l'orecchino di perla.

L'ultima fuggitiva

Tracy Chevalier

È il 1850 quando Honor e Grace Bright si imbarcano sull'Adventurer, un grande veliero in partenza dal porto inglese di Bristol per l'America. L'aria smarrita di chi non è avvezza ai viaggi, il bel volto offuscato dal mal di mare, Honor Bright sa che non rivedrà mai più Bridport, il paese in cui è nata, nell'istante in cui la nave si allontana dalle verdi colline del Dorset. Troppo grande è il mare e troppo lontano è Faithwell, il villaggio dell'Ohio in cui Adam Cox, un uomo anziano e piuttosto noioso, attende sua sorella per prenderla in sposa. 
L'irrequieta Grace ha allacciato una corrispondenza epistolare con lui, culminata poi con la proposta di matrimonio, con l'intento di lasciarsi alle spalle l'angusta vita della piccola comunità di quaccheri in cui è cresciuta e abbracciare così nuove avventure.
Honor Bright non condivide lo spirito temerario di Grace, ma Samuel, il suo promesso sposo, ha rotto il fidanzamento e la prospettiva di vivere in mezzo all'altrui compassione l'ha spinta a seguire la sorella al di là del mare.
Una volta giunte in Ohio, tuttavia, a un passo da Faithwell, Grace si ammala di febbre gialla e, tra le misere mura di un albergo, muore.
Honor Bright si ritrova così sola in una nazione enorme ed estranea, divisa da un immenso oceano dall'amato Dorset. Non le resta perciò che Adam Cox come unica ancora di salvezza. A Faithwell, tuttavia, viene accolta con freddezza dall'uomo e dalla cognata vedova. Nel paese, poi  ̶  una fila di edifici ai bordi di una strada sconnessa, con una drogheria, una bottega e alcune fattorie nella campagna circostante  ̶  le persone sono amichevoli, ma con una schiettezza che rasenta la brutalità.
A turbare l'equilibrio di Honor non è, però, la vita sociale di Faithwell, ma qualcosa di più grande che riguarda l'America della metà del XIX secolo, il Paese in cui i neri sono ancora ridotti in schiavitù. Il villaggio si trova, infatti, nei pressi di un crocevia dove si accalcano i coloni diretti a ovest in cerca di terra da coltivare, gli schiavi in fuga verso nord e i cacciatori di schiavi pagati dai proprietari di piantagione per riportare indietro i fuggitivi. Tra questi Donovan, un uomo sfrontato e attraente, con gli occhi di un castano chiaro che spiccano nel viso squadrato e una durezza senza pari nello sguardo.
Per non venir meno ai saldi principi di rettitudine cui è stata educata in Inghilterra, Honor decide di aiutare gli schiavi in fuga. Comincia di nascosto a offrire loro acqua e cibo e, in qualche caso, riparo. Sarà, tuttavia, abbastanza guardinga da non tradirsi? E, soprattutto, saprà resistere alla tentazione più grande? Quella di cedere a un uomo i cui principi detesta, ma che è l'unico in grado di rimescolarle il sangue nelle vene?
Romanzo che conduce il lettore nel cuore dell'America schiavista, dove i grandi temi della crudeltà e dell'eroismo, dell'onore e della passione, della viltà e del coraggio trovano un fertile terreno, L'ultima fuggitiva è una splendida conferma del talento dell'autrice della Ragazza con l'orecchino di perla.

Strane creature

Tracy Chevalier

È il 1811 a Lyme, un piccolo villaggio sulla costa meridionale inglese. Le stagioni si susseguono senza scosse in paese e il decoro britannico si sposa perfettamente con la tranquilla vita di una provincia all'inizio del diciannovesimo secolo.
Un giorno, però, sbarcano nel villaggio le sorelle Philpot e la quiete è subito un pallido ricordo. Vengono da Londra, sono eleganti, vestite alla moda, sono bizzarre creature per gli abitanti di quella costa spazzata dal vento.
Margaret, diciotto anni, riccioli neri e braccia ben tornite, sorprende costantemente tutti coi suoi turbanti verdolini sconosciuti alle ragazze di Lyme, che se ne vanno in giro ancora con grevi vestiti stile impero.
Louise, meravigliosi occhi grigi e grandi mani, coltiva una passione per la botanica che è incomprensibile in quel piccolo mondo dove alle donne è dato solo di maritarsi e accudire i figli.
Ma è soprattutto Elizabeth, la più grande delle Philpot, a costituire un'eccentrica figura in quel paesino sperduto sulla costa. Ha venticinque anni. Dovrebbe comportarsi come una sfortunata zitella per l'età che ha e l'aspetto severo che si ritrova, ma se ne va in giro come una persona orgogliosamente libera e istruita che non si cura affatto di civettare con gli uomini.
In paese ha stretto amicizia con Mary Anning, la figlia dell'ebanista. Quand'era poco più che una poppante, Mary è stata colpita da un fulmine. La donna che la teneva fra le braccia e le due ragazze accanto a lei morirono, ma lei la scampò. Prima dell'incidente era una bimba quieta e malaticcia. Ora è una ragazzina vivace e sveglia che passa il suo tempo sulla spiaggia di Lyme, dove dice di aver scoperto strane creature dalle ossa gigantesche, coccodrilli enormi vissuti migliaia di anni fa.
Il reverendo Jones, un uomo con il volto squadrato, i capelli a spazzola e le labbra sottili che non stanno mai ferme, dice che le cose non possono stare in questo modo, perché sarebbe contrario alla Bibbia. Dio non può aver creato delle bestie così grandi per poi sbarazzarsene.
Elizabeth Philpot però non solo presta fede alla ragazzina, ma la protegge anche dai cacciatori di fossili e dagli avventurieri che accorrono a frotte a Lyme. Tra questi anche l'affascinante colonnello Birch, un militare dritto e sicuro di sé dai bei capelli folti e neri, che infrange il cuore di Mary e suscita una morbosa, irresistibile attrazione nella maggiore delle Philpot.
Basata sulla storia vera di Mary Anning, la ragazzina che a Lyme Bay portò alla luce il cranio del primo ittiosauro e rese così possibile quella svolta negli studi sull'evoluzione che trovò il suo coronamento nel 1859, con la pubblicazione dell'Origine delle specie di Darwin, Strane creature è una delle opere più riuscite di Tracy Chevalier: un'avvincente storia di donne che lottano contro le ottuse convenzioni di un'epoca per aprire la strada al progresso e alla conoscenza.

L'innocenza

Tracy Chevalier

È il 1792 a Londra, e il traffico è intenso in Hercules Buildings: ventidue case a schiera di mattoni con un piccolo giardino sul davanti e un pub a ciascuna estremità della strada. Nel trambusto di carrozze, cavalli e barrocci, grida di pescivendoli, venditori di scope e fiammiferi, lustrascarpe e calderai, Jem Kellaway, un ragazzo col viso allungato, gli occhi azzurri infossati e i capelli biondo-rossicci, trasporta all'interno del numero 12 una sedia Windsor dopo l'altra. È appena arrivato a Londra, coi genitori e sua sorella Maisie, dalla campagna del Dorsetshire. Thomas Kellaway, suo padre, ha afferrato un giorno tutti i suoi arnesi di lavoro, i cerchi di legno per curvare i braccioli e gli schienali delle sedie, i pezzi del tornio utili a rifinire le gambe, i saracchi, le accette, gli scalpelli e i succhielli, li ha caricati su un carro ed è partito per Londra con tutta la famiglia per lavorare come carpentiere nel celebre circo di Philip Astley.
Astley li ha spediti al numero 12 degli Hercules Buildings, nell'abitazione di proprietà della signorina Pelham, la donna con indosso un abito giallo scolorito che ronza ora attorno alla casa e sbraita contro una ragazza dal viso impertinente e sveglio che è accorsa incuriosita: Maggie Butterfield, la figlia di Dick Butterfield, il vicino che ha osato vendere alla signorina Pelham falsi merletti delle Fiandre sfilacciatisi nel giro di pochi giorni.
È il mese di marzo e il caldo e il rumore sono insopportabili. Jem esploderebbe certamente di rabbia e stanchezza se d'improvviso non calasse una strana pausa di silenzio sulla strada e la signorina Pelham non si zittisse e Maggie non smettesse di fissarlo. Seguendo il suo sguardo, il ragazzo scorge un uomo attraversare la via. Robusto, la faccia larga, la fronte spaziosa, gli occhi grigi e la carnagione pallida, vestito semplicemente, camicia bianca, brache, calze e giacca nere, e un bizzarro berretto in testa, un bonnet rouge, il copricapo con la coccarda blu, bianca e rossa della Rivoluzione francese. È uno degli abitanti più noti degli Hercules Buildings: William Blake, l'artista, il poeta che stampa «strani libretti» e inneggia alle idee che incendiano il paese dall'altra parte della Manica.
Così comincia questo romanzo, che a ritmo incalzante conduce il lettore davanti a tutti i suoi temi: il segreto di Maggie, l'amore pericoloso di Maisie per John Astley, gli intrighi di Dick Butterfield, gli spettacoli maliardi del Circo Astley, le strade brulicanti della Londra di fine Settecento, con le sue miserie e il suo splendore, e la straordinaria figura di William Blake, l'autore dei Canti dell'innocenza e dell'esperienza, con le sue folgoranti, improvvise apparizioni.
Come nella Ragazza con l'orecchino di perla, attraverso dei personaggi perfettamente delineati, Tracy Chevalier ci restituisce tutto il fascino di un'epoca.

L'ho sposato, lettore mio

Tracy Chevalier
Per quale ragione «L’ho sposato, lettore mio» è una delle frasi più celebri e citate della letteratura inglese? La risposta, tutt’altro che ovvia, risiede nel capolavoro da cui è tratta: Jane Eyre (1847), la storia di un’orfana che, grazie alla sola intelligenza e caparbietà, riesce a convolare a nozze con il nobile signor Rochester. Per affermare il suo successo, e il cambiamento della propria condizione sociale, invece di dichiarare «mi ha sposata, lettore mio» – com’era da aspettarsi nella maschilista società vittoriana – Jane dice: «l’ho sposato, lettore mio». Una sfumatura nella forma verbale che ha lo scopo di rimarcare la coscienza femminile della protagonista, e quella dell’autrice Charlotte Brontë, e che si ergerà a manifesto, ispirazione e stimolo per tutte le scrittrici a venire.
Quando Tracy Chevalier ha chiesto alle migliori autrici in lingua inglese di raccontare una storia ispirata a quella celebre battuta, non l’ha fatto solo per festeggiare i duecento anni della nascita di Charlotte Brontë, ma anche per ridare significato a quelle parole, per renderle di nuovo vive e attuali nella società odierna.
«In alcuni racconti sono le nozze stesse a essere drammatiche, a causa di una dolorosa scheggia di vetro in Coppia mista di Linda Grant, o di un mutamento improvviso in Il matrimonio di mia madre di Tessa Hadley, o di un rapporto clandestino durante una cerimonia in Zambia, in Uomini doppi di Namwali Serpell, o di un incontro gotico nel fango della brughiera in Tenersi per mano di Joanna Briscoe», dice Chevalier.
In altri, come La prima volta che vidi il tuo viso di Emma Donoghue, la frase di Jane Eyre diventa il trampolino di lancio per viaggiare indietro nel tempo, fino alla Germania di fine Ottocento, dove Miss Hall e Mary Benson,la moglie dell’arcivescovo di Canterbury, si macchiano del peccato di un amore saffico. Se in Lo scambio Audrey Niffenegger colloca Jane nel mondo contemporaneo, in un paese dilaniato dalla guerra, la penna originale ed eccentrica di Helen Dunmore si diverte a raccontare Jane Eyre dal punto di vista della governante ingelosita, mentre Tracy Chevalier – con la maestria che l’ha resa una delle scrittrici più lette e amate d’Italia, «in grado di donare il soffio della vita al romanzo storico» (Independent) – dipinge la relazione sentimentale di una coppia male assortita, «come margherite e gladioli, come pizzo e cuoio».
Il risultato è una collezione di ventuno storie d’amore, diversissime per sensibilità, scrittura e intenzioni, che ruotano attorno a una medesima eroina dai mille volti: una donna determinata e coraggiosa, che combatte per vincere i pregiudizi e gli ostacoli della società. E che non ha paura di affermare la propria identità dicendo, a testa alta, con un sorriso affaticato ma fiero: io «l’ho sposato, lettore mio».

I frutti del vento

Tracy Chevalier
Nella prima metà del XIX secolo James e Sadie Goodenough giungono nella Palude Nera dell’Ohio dopo aver abbandonato la fattoria dei Goodenough nel Connecticut. Il padre di James, un vecchio scorbutico cui Sadie non è mai andata a genio, ha parlato chiaro un giorno: meglio che il suo secondogenito, e la sua giovane e troppo prolifica consorte, andassero a cercare fortuna altrove, all’ovest, magari, dove la terra abbonda.
La Palude Nera è una landa desolata: l’acqua puzza di marcio, il fango scuro si appiccica alla pelle e ai vestiti e la malaria d’estate si porta via sempre qualcuno. Anziché spingersi nella prateria dove la terra è buona e solida sotto i piedi, James Goodenough decide però di costruire la sua casa di legno proprio nella Palude Nera, in riva al fiume Portage.
La legge dell’Ohio prevede che un colono possa fare sua la terra se riesce a piantarvi un frutteto di almeno cinquanta alberi. Una sfida irresistibile per James Goodenough che ama gli alberi più di ogni altra cosa, poiché gli alberi durano e tutte le altre creature invece attraversano il mondo e se ne vanno in fretta. In quella terra perciò, dove gli acquitrini si alternano alla selva più fitta, James pianta e cura poi con dedizione i suoi meli: un magnifico frutteto di cinque file di alberi col piccolo vivaio in disparte. Un frutteto che diventa la sua ossessione; la prova, ai suoi occhi, che la natura selvaggia della terra, con il suo groviglio di boschi e pantani, si può domare.
La malaria si porta via cinque dei dieci figli dei Goodenough, ma James non piange, scava la fossa e li seppellisce. Si fa invece cupo e silenzioso quando deve buttare giù un albero.
La moglie, Sadie, beve troppa acquavite e diventa troppo ciarliera quando John Chapman, l’uomo che procura i semi delle piante alle fattorie lungo il Portage, si ferma a cena. In quelle occasioni, James la vede con altri occhi: scorge il turgore dei seni sotto il vestito azzurro, i fianchi rotondi e sodi nonostante i dieci figli. Ma poi non se ne cura.
Finché, un giorno, la natura selvaggia non della terra, ma di Sadie esplode e segna irrimediabilmente il destino dei Goodenough nella Palude Nera, in primo luogo quello di Robert, il figlio dagli occhi d’ambra quieti e intelligenti, e della dolce e irresoluta Martha.
Romanzo che si iscrive nella tradizione della grande narrativa americana di frontiera, I frutti del vento è un’opera in cui Tracy Chevalier penetra nel cuore arido, selvaggio e inaccessibile della natura e degli uomini, là dove crescono i frutti più ambiti e più dolci che sia dato cogliere.

Strane creature

Tracy Chevalier

È il 1811 a Lyme, un piccolo villaggio sulla costa meridionale inglese. Le stagioni si susseguono senza scosse in paese e il decoro britannico si sposa perfettamente con la tranquilla vita di una provincia all'inizio del diciannovesimo secolo.
Un giorno, però, sbarcano nel villaggio le sorelle Philpot e la quiete è subito un pallido ricordo. Vengono da Londra, sono eleganti, vestite alla moda, sono bizzarre creature per gli abitanti di quella costa spazzata dal vento.
Margaret, diciotto anni, riccioli neri e braccia ben tornite, sorprende costantemente tutti coi suoi turbanti verdolini sconosciuti alle ragazze di Lyme, che se ne vanno in giro ancora con grevi vestiti stile impero.
Louise, meravigliosi occhi grigi e grandi mani, coltiva una passione per la botanica che è incomprensibile in quel piccolo mondo dove alle donne è dato solo di maritarsi e accudire i figli.
Ma è soprattutto Elizabeth, la più grande delle Philpot, a costituire un'eccentrica figura in quel paesino sperduto sulla costa. Ha venticinque anni. Dovrebbe comportarsi come una sfortunata zitella per l'età che ha e l'aspetto severo che si ritrova, ma se ne va in giro come una persona orgogliosamente libera e istruita che non si cura affatto di civettare con gli uomini.
In paese ha stretto amicizia con Mary Anning, la figlia dell'ebanista. Quand'era poco più che una poppante, Mary è stata colpita da un fulmine. La donna che la teneva fra le braccia e le due ragazze accanto a lei morirono, ma lei la scampò. Prima dell'incidente era una bimba quieta e malaticcia. Ora è una ragazzina vivace e sveglia che passa il suo tempo sulla spiaggia di Lyme, dove dice di aver scoperto strane creature dalle ossa gigantesche, coccodrilli enormi vissuti migliaia di anni fa.
Basata sulla storia vera di Mary Anning, la ragazzina che a Lyme Bay portò alla luce il cranio del primo ittiosauro e rese così possibile quella svolta negli studi sull'evoluzione che trovò il suo coronamento nel 1859, con la pubblicazione dell'Origine delle specie di Darwin, Strane creature è una delle opere più riuscite di Tracy Chevalier: un'avvincente storia di donne che lottano contro le ottuse convenzioni di un'epoca per aprire la strada al progresso e alla conoscenza.

La ragazza con l'orecchino di perla

Tracy Chevalier

Delft, XVII secolo, una casa nella zona protestante della città… Griet, la giovane figlia di uno dei decoratori di piastrelle più rinomati di Delft – privato, per un incidente, «degli occhi e del lavoro» – è in cucina, intenta a sistemare, com'è solita fare, le verdure tritate (cavolo rosso, cipolle, carote, rape e porri ordinati splendidamente a cerchio e, in mezzo, una rondella di carota), quando ode voci decisamente insolite nella casa di un modesto decoratore… voci che suggeriscono «immagini di tappeti preziosi, libri, perle e pellicce». Sull'uscio, compaiono improvvisamente due figure: un uomo dagli occhi grigi come il mare e un'espressione ferma sul volto lungo e spigoloso, e una donna – piccoli ricci biondi, sguardo che guizza qua e là nervosamente – che sembra portata dal vento, benché la giornata sia calma. Sono Johannes Vermeer, il celebre pittore, e sua moglie Katharina, gente ricca e influente, proveniente da vicino, dal Quartiere dei Papisti, eppure lontanissima da Griet e dal suo mondo.
Griet ha sedici anni e quel giorno apprende dalla voce della madre il suo destino: andrà a servizio dei Vermeer per otto stuiver al giorno, dovrà fare le pulizie nell'atelier del pittore, e dovrà agire delicatamente senza spostare né urtare nulla.
Romanzo che ci conduce con straordinaria precisione là dove l'arte è divisa dai fantasmi della passione soltanto da una linea sottile – tra Vermeer e Griet, l'artista e la serva, l'amato e l'amante, l'uomo potente e la giovane donna che non possiede altro che il suo incanto e la sua innocenza, si stabilisce un'intensa relazione fatta di sguardi, sospiri, frasi dette e non dette –, La ragazza con l'orecchino di perla ci offre anche alcune delle pagine più felici, nella narrativa contemporanea, sulla dedizione e sul coraggio femminile.
Griet è invisa a Katharina, gelosa della sua intima relazione col marito, è costretta a subire i rimproveri di Maria Thins, la suocera del pittore, a sfidare tutte le convenzioni dell'epoca, e tuttavia non cessa per un solo istante di ubbidire all'amore per l'arte e alla passione che la muove. Gesto inaudito per la morale del tempo, poserà con le labbra sensualmente dischiuse per quel ritratto di Vermeer che è giunto fino a noi, e non cessa di stupirci per l'enigmaticità dello sguardo che vi è dipinto.

La Vergine azzurra

Tracy Chevalier

È un giorno della seconda metà del Cinquecento in un villaggio tra Mont Lozère e Florac, nella Francia meridionale. Come un velo sottile, la prima neve dell'inverno ha ricoperto la terra. Sotto il cielo color del peltro, il manto candido spicca sulle tegole di granito della chiesa. Sul sagrato, Monsieur Marcel, il predicatore calvinista, ha appena finito di parlare. Coi suoi abiti scuri, i capelli d'argento, le mani rossicce intrecciate dietro la schiena, si è avviato di buon passo su per la collina ammantata da un banco di nubi scure, senza voltarsi.
Dietro di sé ha lasciato l'incendio nelle menti e nei cuori. La folla, eccitata e rumorosa, è decisa a purificare la chiesa, a mondarla dal peccato, a liberarla dagli idoli.
Etienne Tournier, il giovane figlio dei Tournier, l'unica famiglia a possedere nel villaggio una Bibbia e un cavallo, agitando un rastrello, solleva lo sguardo minaccioso verso la statuetta della Vergine col Bambino che troneggia sul portone della chiesa. Poi, fissa i suoi occhi celesti in quelli di Isabelle du Moulin, la Rossa.
Il giorno in cui la Madonnina era stata messa nella nicchia, Isabelle era una bambina e sedeva ai piedi della scala della chiesa, mentre Jean Tournier, il padre di Etienne, non ancora convertito alla Verità di Calvino, dipingeva l'edicola di un azzurro vivido come il cielo terso della sera. Quand'ebbe finito, il sole, spuntando da una muraglia di nubi, rese quell'azzurro così splendente che Isabelle rimase a guardarlo rapita. Poi, i raggi inondarono le chiome della ragazza che anche dopo il tramonto conservarono lo scintillìo del rame. Così da quel giorno la chiamarono la Rossa , lo stesso nome che la gente aveva dato alla Vergine. Un nome diventato una maledizione da quando Monsieur Marcel era arrivato in paese con le macchie di tannino sulle mani e in bocca le parole di Calvino!
Mentre la figura del predicatore scompare sulla collina, Isabelle afferra il rastrello dalle mani di Etienne e, col fuoco che le incendia il ventre, colpisce con tutte le sue forze la statuetta! Così si annuncia, in queste pagine, la fine della fanciullezza di Isabelle du Moulin, infranta come la statuetta della Vergine, e l'inizio del suo destino di donna. Un destino che resterebbe nascosto per sempre, se secoli dopo non arrivasse nel sud della Francia Ella Turner, l'americana che è perseguitata da uno strano sogno in cui le appare una veste azzurra, e per risolvere il mistero si ritrova tra le Cévennes, le isolate montagne dove ebbero origine i Tournier-Turner.
Straordinaria opera prima, La Vergine azzurra annuncia tutto il talento di Tracy Chevalier: la sua abilità nel rendere vive le epoche trascorse della storia e nel restituirci i più segreti tumulti e pensieri dell'animo umano.

La ragazza con l'orecchino di perla

Tracy Chevalier

Delft, XVII secolo, una casa nella zona protestante della città… Griet, la giovane figlia di uno dei decoratori di piastrelle più rinomati di Delft – privato, per un incidente, "degli occhi e del lavoro" – è in cucina, intenta a sistemare, com'è solita fare, le verdure tritate (cavolo rosso, cipolle, carote, rape e porri ordinati splendidamente a cerchio e, in mezzo, una rondella di carota), quando ode voci decisamente insolite nella casa di un modesto decoratore… voci che suggeriscono "immagini di tappeti preziosi, libri, perle e pellicce". Sull'uscio, compaiono improvvisamente due figure: un uomo dagli occhi grigi come il mare e un'espressione ferma sul volto lungo e spigoloso, e una donna – piccoli ricci biondi, sguardo che guizza qua e là nervosamente – che sembra portata dal vento, benché la giornata sia calma. Sono Johannes Vermeer, il celebre pittore, e sua moglie Catharina, gente ricca e influente, proveniente da vicino, dal Quartiere dei Papisti, eppure lontanissima da Griet e dal suo mondo.
Griet ha sedici anni e quel giorno apprende dalla voce della madre il suo destino: andrà a servizio dei Vermeer per otto stuiver al giorno, dovrà fare le pulizie nell'atelier del pittore, e dovrà agire delicatamente senza spostare né urtare nulla.
Romanzo che ci conduce con straordinaria precisione là dove l'arte è divisa dai fantasmi della passione soltanto da una linea sottile – tra Vermeer e Griet, l'artista e la serva, l'amato e l'amante, l'uomo potente e la giovane donna che non possiede altro che il suo incanto e la sua innocenza, si stabilisce un'intensa relazione fatta di sguardi, sospiri, frasi dette e non dette –, La ragazza con l'orecchino di perla ci offre anche alcune delle pagine più felici, nella narrativa contemporanea, sulla dedizione e sul coraggio femminile.
Griet è invisa a Catharina, gelosa della sua intima relazione col marito, è costretta a subire i rimproveri di Maria Thins, la suocera del pittore, a sfidare tutte le convenzioni dell'epoca, e tuttavia non cessa per un solo istante di ubbidire all'amore per l'arte e alla passione che la muove. Gesto inaudito per la morale del tempo, poserà con le labbra sensualmente dischiuse per quel ritratto di Vermeer (La ragazza col turbante) che è giunto fino a noi, e non cessa di stupirci per l'enigmaticità dello sguardo che vi è dipinto.

Quando cadono gli angeli

Tracy Chevalier

Kitty Coleman non ha mai potuto sopportare quel «benedetto cimitero» dove ora si trova con Richard, suo marito, e Maude, la sua bambina. È così lugubre con i suoi obelischi egiziani, le guglie gotiche, le colonne, le fanciulle in lacrime, gli angeli, il granito e il marmo a profusione. Non ha mai tollerato nemmeno l’affettata esibizione del lutto che caratterizza i suoi connazionali.
Eccoli lì, oggi, gli Inglesi, alla fine del primo mese di gennaio del Novecento, tutti vestiti di nero! Certo, la Regina Vittoria è morta e il XIX secolo, il secolo della gloria dell’Impero, se n’è andato con lei. Ma perché addolorarsi soltanto? Perché non pensare che Edoardo «rappresenti molto meglio di sua madre» i tempi nuovi? Perché non accogliere con qualche speranza e, magari, qualche piccolo sentimento di gioia il secolo che viene?
Se soltanto conoscessero i suoi veri pensieri, Albert e Gertrude Waterhouse, i proprietari della tomba vicina a quella dei Coleman (quella tomba sormontata da un angelo tanto sproporzionato e melenso da far uscire di senno suo marito Richard) forse l’accuserebbero di «alto tradimento». Sono così perfetti nella loro normalità: lui con una barba rossiccia, un tipo tutto sorrisi, lei una di quelle donne con la vita sformata dalle gravidanze, e i capelli crespi che non stanno a posto nemmeno con le forcine. E poi quella figlia, Lavinia, che ha l’età di Maude e non smette nemmeno per un istante di premersi sugli occhi, con evidente compiacimento, un fazzoletto orlato di nero! È una bambina con bei capelli castani, ricci e lucidi che indossa un vestitino nero guarnito di crespo, assolutamente inadatto a una ragazzina della sua età. Kitty spera che Maude non le diventi troppo amica da imitarla, e farsi contagiare da quelle insopportabili svenevolezze. Ma sono tante le speranze di Kitty, troppe forse per il secolo che è appena cominciato…
Straordinario ritratto di un’epoca in cui le prime automobili sostituiscono i cavalli e l’elettricità soppianta l’illuminazione a gas, Quando cadono gli angeli ci riporta ai sogni e alle disillusioni della breve e dorata stagione edoardiana attraverso le accorate vicende di due famiglie che, contro la stessa volontà dei protagonisti, sono ineluttabilmente destinate a incrociarsi. Con la sua scrittura «precisissima, sospesa, che lascia ammirati e sconcertati da tanta bravura» (L’Espresso), l’autrice della Ragazza con l’orecchino di perla ci svela le passioni, i sogni e le disillusioni di «un tempo a noi lontano e, insieme, vicinissimo» (The Times) nel passaggio da un secolo all’altro.

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