Quattro chiacchiere con Anna Voltaggio

Abbiamo fatto alcune domande all’autrice de La nostalgia che avremo di noi.
Ecco le sue risposte.

La nostalgia che avremo di noi racconta una moltitudine di personaggi, tutti con una caratteristica in comune: sembrano incastrati in un’esistenza che gli va stretta.
È una sensazione dovuta al periodo di vita che stanno affrontando?

I miei personaggi sono irrequieti, e credo che quest’irrequietezza sia generata da alcune contraddizioni che caratterizzano la mia generazione, quella dei quarantenni di oggi. Abbiamo faticato nel tentare di costruire la nostra vita professionale, faticato per diventare autonomi economicamente, faticato per ambientarci in città diverse dalla nostra di origine. Siamo cresciuti procedendo a tentoni senza sentieri tracciati. Spesso ci siamo inventati. Inoltre, la generazione precedente aveva messo in discussione molti dei valori che tradizionalmente hanno fatto parte della cultura del nostro Paese. Questo, un lato ci ha resi avventurieri dall’altro ha comportato che ci affacciassimo al mondo adulto molto tardi e che vivessimo in uno stato perenne di provvisorietà in cui le scelte di vita venivano mosse dal peso di un imperituro presente che ci stava addosso come un macigno e non ci dava il tempo di immaginare un approdo nel futuro. Ecco, io illumino le vite dei miei personaggi nel momento in cui si mette in atto una sorta di performance del fallimento dovuta a queste contraddizioni, il momento in cui prendono coscienza di essere pienamente adulti, che parte del loro futuro è già arrivato e cambiare direzione non è più senza conseguenze.

Secondo lei, rispetto alla generazione dei loro genitori, come vivono le relazioni i trentenni e i quarantenni di oggi?
Non ho la pretesa di analizzare nel suo complesso un’intera generazione, però c’è sicuramente un sottoinsieme di questa generazione con dei comuni denominatori che influiscono particolarmente sugli aspetti emotivi e di conseguenza sulla gestione delle relazioni affettive. Una parte nutrita dei miei coetanei è figlia di genitori che hanno vissuto – più o meno direttamente – la rivoluzione culturale del ’68 e degli anni ’70, questi genitori spesso si sono separati o hanno costruito famiglie fuori dagli schemi tradizionali, hanno messo in discussione valori radicati, abolito modelli e non dico affatto che questo sia un male ma credo che ci abbia fatti crescere dentro sfere affettive più fragili. Questo sottoinsieme generazionale, inoltre, ha spesso la pretesa di desiderare tutto perché tutto gli sembra a portata di mano e la giovinezza un eterno presente, la rinuncia viene considerata la dimensione di una sconfitta e questo probabilmente diventa un limite pericoloso nella costruzione di un legame stabile.

PEDRO OYARBIDE Illustratore delle copertine di Blackwater (12).png

All’interno del libro, i personaggi si destreggiano tra ansie per il futuro e ricordi del passato. Lei che rapporti ha con la nostalgia?
Il desiderio e la nostalgia sono i sentimenti che cerco di indagare di più in questo libro, entrambi molto ambigui, con cui mi capita spesso di fare i conti. La nostalgia è il desiderio di tornare verso un luogo impossibile, già la sua etimologia (dal greco nòstos, ritorno + àlgos, dolore) lascia intendere questa ambiguità, la nostalgia è la tristezza per il desiderio di tornare indietro. Un sentimento che contiene in sé una forma di dolcezza languida data dalla dimensione del ricordo e al tempo stesso di amarezza per l’impossibilità. In molti momenti della mia vita ho avuto nostalgia di qualcosa di me che avevo lasciato interrotta, inesplorata. Di un momento che avrebbe potuto determinare un cambiamento di rotta verso altre destinazioni possibili. Come quando senti il rumore sferragliante degli scambi dei treni – per citare una bellissima metafora di Paolo Nori - e osservi quello in cui non sei salito allontanarsi e andare chissà dove. Ho spesso nostalgia delle mie scelte incompiute e adesso, naturalmente, non è più il tempo per andare a vedere, posso solo fantasticare. O scrivere.

Ci parli un po’ del titolo. Che tipo di nostalgia è quella che si dà al futuro? Il noi a chi fa riferimento?
La nostalgia che avremo di noi è una frase che volutamente assume due significati, da un lato il noi è riferito a noi stessi e il titolo diventa così, come per la risposta precedente, la consapevolezza un po’ amara di quello che non potrà più essere. I miei personaggi vivono infatti nell’idea che non si possa più tornare indietro nel momento in cui erano vicini a qualcosa di prezioso che hanno lasciato scivolare via. Dall’altro, il titolo fa riferimento a un legame preciso, familiare o sentimentale. I miei personaggi hanno alle spalle un rapporto incompiuto che assume, nella mente, proporzioni gigantesche proprio perché non si è protratto nella realtà ed è cresciuto in una dimensione interiore.

I volumi
La nostalgia che avremo di noi è una commedia umana, un libro di racconti polifonico, un sasso che, lanciato in acqua, espande in cerchi concentrici la sostanza misteriosa del desiderio.
2023, pp. 144, € 16,00
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