
La formula della longevità, in pillole
Riccardo Chiaberge ci racconta le invenzioni più geniali che ci hanno permesso di allungare la nostra vita.
In una gelida notte d’inverno, sette bambini si stringevano intorno a una grata di Mulberry Street. A turno, per lo spazio di un minuto circa, ciascuno sedeva direttamente sulla grata di ferro, per scaldarsi al vapore sprigionato dalla caldaia nel seminterrato della sede centrale della polizia di New York. Coperti a malapena da stracci luridi e informi, con i volti e la pelle esposta neri di sporcizia, sembravano appena ombre incerte nella strada buia, una congrega di goblin degenerati.
Nel gruppo scoppiò un battibecco stridulo per stabilire se a una di loro, una ragazzina che teneva in braccio un infante tisico, bisognasse concedere un tempo più lungo sulla grata, ma prima di raggiungere una conclusione la contesa fu interrotta dal rintocco improvviso di tutte le campane della città.
L’Anno di Grazia 1881 era appena diventato l’Anno di Grazia 1882.
Non lontano, nella cantina di un edificio diroccato in Grand Street, c’era una birreria fatiscente, un luogo talmente infimo da non meritare nemmeno un’insegna. Là un assembramento di poveracci, di traviate, di delinquenti e derelitti beveva la birra stantia che la sera prima gli osti di Bowery Street avevano scartato, rifiutandosi di servirla. Quegli avventori, però, la bevevano senza lamentarsi, fino a diventare insensibili al freddo fuori e alla desolazione dentro. La bettola era gestita da un nero muto, che per tutta la notte distribuiva da bere in boccali di terraglia mai lavati. Nel locale angusto, dove una piccola stufa a carbone ammorbava l’aria di un fumo soffocante senza scaldare nessuno, gli uomini imprecavano contro Dio, le donne che li avevano traditi, le autorità che li avevano sbattuti in galera, la macchina democratica che non si era mossa per scarcerarli, e chiunque altro riuscisse a farsi largo nelle
loro menti obnubilate. Le donne, perlopiù già sprofondate in un oblio misericordioso, se ne stavano accasciate negli angoli bui, oppure sedevano con la testa appoggiata ai muri freddi e umidi. Con l’acquisto di due boccali, a un centesimo ciascuno, si acquisiva anche il privilegio di restare nel locale fino all’alba. Bambini cenciosi si azzuffavano sotto i tavoli, e la scimmia di un suonatore di organetto minato dalla consunzione passava alternativamente dalla furia all’apatia, aggiungendo il proprio berciare stridulo a quel vocio indistinto.
Due loschi individui, rilasciati appena quella mattina da Blackwell’s Island, giocavano a soldi accanto alla porta. Una breve pausa nel gesto di mescolare il mazzo unto al rintocco delle campane fu tutto il riconoscimento accordato al nuovo anno in quel luogo infelice.
Non lontano, nella cantina di una casa in Mott Street, tre giovani donne, con gli abiti a righe e un sorriso estatico in volto, iniziavano un’amica intimidita ai misteri dell’oppio. Con una risatina nervosa, la novizia collocò il bolo, nero e vischioso come catrame, all’estremità appiattita dello yen hock,
che a prima vista aveva preso per un ferro da calza, e lo scaldò alla fiammella di una candela accesa in un bicchiere di vetro verde. Fece scorrere lo sguardo sulla schiera di sognatori inerti tutt’intorno, solo la metà dei quali era cinese, e sussurrò preoccupata alle compagne: «Sicure che non corriamo rischi, qui?». Quando penetrò quella stanza affollata, fumosa e silenziosa, lo scampanio del nuovo anno si insinuò in centinaia di sogni languidi, centinaia di visioni grigio-azzurrine.
Un quarto d’ora prima, sul lato opposto della stazione di polizia rispetto alla pagana Mott Street, una carrozza si era fermata davanti a un’anonima facciata di mattoni in West Houston Street, e un volto velato, incorniciato da una chioma corvina, aveva scrutato ansiosamente dal finestrino. Il vetturino aveva ribadito che l’indirizzo era proprio quello, ma poi se n’era andato prima che il timido bussare della sua passeggera le avesse guadagnato l’ingresso nella casa.
«Mi manda Maggie» aveva sussurrato alla donna dall’abito austero e dai tratti duri che le aveva
aperto la porta. La signora velata era un’attrice che solo mezz’ora prima aveva strappato grandi applausi per la sua interpretazione della protagonista di Ada, Girl-Scout delle Sierras, al Teatro Nazionale di Bowery Street.
Arrivata ai piedi di una scala buia, l’attrice aveva esitato. Poi un’altra giovane, una bionda carina con un abito rosso sbarazzino, era comparsa sul ballatoio sopra di lei e agitando una candela l’aveva incoraggiata a salire con fare rassicurante.
«Sei Dollie, vero?» aveva esclamato. «Oh, che splendidi capelli, davvero fantastici!»
Ora l’attrice era sdraiata su uno stretto lettino di ferro, in una stanzetta minuscola al quarto piano dell’edificio silenzioso. In preda all’agitazione, stringeva e rigirava tra le dita l’orlo del copriletto sdrucito. Canticchiando spensierata tra sé, la bionda carina aprì le tendine sottili sulla finestra e aggiunse altro carbone al fuocherello nella stufa. Si voltò con grazia, rivolse un sorriso all’attrice e in tono allegro le chiese se il laudano avesse cominciato a fare effetto.
La risposta dell’attrice alla mammana si perse nello scampanio del nuovo anno.
Riccardo Chiaberge ci racconta le invenzioni più geniali che ci hanno permesso di allungare la nostra vita.
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