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L'onore d'Italia. El Alamein: così Mussolini mandò al massacro la meglio gioventù

Alfio Caruso

Da ottant’anni El Alamein è un grido che risuona nei cuori e nelle menti d’Italia. Per i ragazzi dell’Ariete, della Trento, della Folgore, della Trieste, della Littorio, della Bologna, della Brescia, della Pavia, del 4° e del 150° stormo d’assalto, rappresentò l’appuntamento con un destino ingrato, da ciascuno onorato al meglio. A mandarli al massacro furono la sanguinaria follia del duce e il tradimento degli ammiragli. Mussolini nel ’41 e nel ’42 preferí inviare undici divisioni e il meglio dell’artiglieria nel mattatoio sovietico, anziché in Africa, dove avrebbero potuto cambiare il corso della guerra; i capi della Marina rivelarono agli inglesi le rotte dei trasporti verso Tripoli e Bengasi privando in tal modo l’armata italo-tedesca dei rifornimenti indispensabili per raggiungere il canale di Suez. Pur ignorati dalle ricostruzioni ufficiali, bersaglieri, parà, fantaccini, genieri, aviatori scrissero pagine di memorabile abnegazione persino a dispetto del regime, che li aveva abbandonati nel deserto. E gli italiani non scapparono, non alzarono le mani, spesso morirono in silenzio nella loro buca. Gli stessi successi di Rommel furono frutto, finché il nemico non se ne accorse, di una straordinaria operazione di spionaggio condotta dal maggiore dei carabinieri Manfredi Talamo, in seguito fucilato alle Fosse Ardeatine. A El Alamein cominciò la presa di coscienza dei ragazzi della generazione sfortunata, che avrebbe poi condotto gran parte dei pochi sopravvissuti della Folgore ad arruolarsi, dopo l’8 settembre, con gli angloamericani.

A Venezia lucean le stelle

Pieralvise Zorzi

Nel diciannovesimo secolo la Repubblica non c’è piú ma Venezia c’è ancora e continua a splendere. Questa volta però a illuminarla non è piú lo splendore della sua eccezionale civiltà: la luce proviene da fuori, direttamente dai grandi astri internazionali dell’Ottocento che fanno di Venezia la loro seconda patria ma anche dai grandi veneziani, uomini e donne che lottano per la sopravvivenza della città e, di fatto, la mantengono in vita nonostante il giogo delle potenze straniere che ora la possiedono. Venezia riflette tutte queste luci stellari e le moltiplica: Zorzi la racconta in una serie di storie affascinanti. Giustina Renier Michiel ama cosí tanto la sua patria caduta da affrontare a muso duro uno scettico Chateaubriand e addirittura irridere Napoleone. Lord Byron, che ama Venezia e vorrebbe diventare veneziano, brucia il suo amore nella passione per fin troppe veneziane. Richard Wagner vi sbarca per comporre e morirvi; il dissoluto scrittore Frederick Rolfe, meglio noto come Baron Corvo, consuma la sua vita pur di non abbandonare la città che adora. Poi naturalmente John Ruskin che odia la modernità, mentre D’Annunzio la pilota verso l’azione e Marinetti la invoca. Nella Venezia del XIX secolo, in Piazza e nei palazzi si incontrano scrittori, musicisti e artisti, regnanti detronizzati e pretendenti al trono, grandi dame e grandi provocatrici, acuti osservatori e cinici turisti di rango, soldati che diventano poeti e poeti che diventano soldati, nuovi padroni ed ex padroni e tantissimi altri da ogni parte del mondo, in una colta e raffinata onda che sceglie di fondersi nei canali e talvolta di infrangersi sulle pietre della ex Serenissima.

Questo libro racconta non solo le storie di queste star, come diremmo oggi: racconta la loro visione di Venezia, in una serie di testimonianze che rendono vivida la narrazione del secolo del grande cambiamento.

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