Ambaro, la madre di Jama, è una bedu, una beduina somala capace di seguire a piedi i cammelli durante gli spostamenti della carovana di suo padre. Incinta di Jama di otto mesi, un giorno si siede esausta ai piedi di un'antica acacia nella savana. Sul lato del pancione esposto al sole e alla brezza scorge a un certo punto arrotolarsi un gigantesco mamba nero, il serpente dal veleno più letale che vi sia. Il mamba appoggia il muso da diavolo saggio sull'ombelico, poi scivola giù e, con un colpo di coda, scompare nella sabbia.
Naturale, perciò, che quando Jama nasce, Ambaro lo chiami Goode, che significa appunto mamba nero.
Goode, il ragazzo fortunato, nato con la benedizione del grande serpente.
La buona sorte, però, non sembra accompagnare affatto i primi passi del ragazzo nel mondo. Guure, suo padre, un sognatore perso nei suoi pensieri, un suonatore di liuto che non accetta l'idea che la giovinezza possa finire, abbandona Ambaro e Jama al loro destino e parte per il Sudan con la speranza di fare fortuna come autista dei ferengi, gli stranieri sbarcati nell'Africa degli anni Trenta al seguito dei loro imperi.
Lasciata la Somalia e trasferitasi con Jama ad Aden, la città dello Yemen coi suoi edifici color sabbia e le sue fabbriche, dove accorrono da ogni parte commercianti, criminali, facchini, pescatori e ciabattini, Ambaro inaspettatamente muore. E Jama si ritrova da solo in un luogo che non è affatto un paradiso in cui anche i mendicanti sono vestiti d'oro, come immaginava sua madre, ma un posto sporco e pericoloso, pieno di stranieri e dei loro vizi.
Dopo aver vissuto in strada con i ragazzi del mercato, ed essersi svegliato all'alba con i capelli pieni di sabbia, mentre gli arabi cammi-nano, mano nella mano, verso il suq, e gli yemeniti se ne vanno in giro coi loro grossi turbanti intessuti di fili d'oro, Jama decide di tornarsene in Somalia con un solo proposito in testa: ritrovare suo padre.
Nella Somalia gialla, senza incenso e denaro come ad Aden, senza fattorie e giardini, Jama apprende che suo padre ha combattuto in Abissinia contro gli italiani e poi ha raggiunto il Sudan. Stringendo al petto l'amuleto di sua madre, un cuore di carta con dentro centocinquantasei rupie, il ragazzo-mamba abbraccia un'impresa epica e disperata: andare oltre Ogaden, oltre Gibuti, attraversare montagne e deserti, inciampando su scheletri di capre uccise da siccità, nei massi che segnano le tombe dei nomadi, seguendo gli escrementi lasciati dai greggi, in un viaggio di mesi e mesi.
Nadifa Mohamed ci consegna con Mamba Boy un romanzo strabiliante per ricchezza narrativa e capacità di scrittura, un'opera che annuncia come la letteratura autentica abbia trovato una nuova patria nel grande continente africano.