È il 2 luglio 1881 quando Guglielmo Testa viene alla luce nella sala piccola del ristorante della sua famiglia. Indaffarato a servire zuppa di anguille in vino rosso e tortine alla ricotta con scorza Majani, suo padre si concede solo un breve attimo per baciarlo e odorarlo come farebbe con una spezia, prima di tornare ai tavoli.
Il bambino cresce tra richiami culinari e fragranze capaci di lasciarlo attonito e, ancora prima di camminare, mostra un precoce talento per la gastronomia, imparando a distinguere i diversi aromi che invadono la cucina. A quattro anni impasta la sua prima forma di pane, a nove prepara il primo vero piatto, cui si applica con premura perché, come gli viene insegnato, cucinare per qualcuno è come prendersi cura della sua felicità.
Devono passare altri dieci anni prima che Guglielmo si imbatta nell’occasione della sua vita: dimostrare al mondo le proprie doti di cuoco con la creazione di una cena in onore del re Umberto I. Poco importa che la proposta venga da una maliziosa e matura signora di Fiesole, desiderosa di sposarlo per averlo nella sua trattoria.
Le teglie sono ancora sul fuoco quando la notizia del regicidio si infila nelle cucine dell’albergo dove Guglielmo è alle prese con un piatto a base di fegato d’oca, anguille, cipolle, mele e zucchero caramellato. Con la strada verso il successo sbarrata all’improvviso dalla cattiva sorte, non gli resta che rispettare gli accordi presi e sposare la signora di Fiesole, per poi chiudersi in cucina a sfornare a ritmi forsennati strudel e babà, sfoglie e budini, e divorarli in preda alla disillusione. Fino al giorno in cui, dal Belgio, gli viene recapitata una lettera breve e concisa da parte di un collega, che lo invita a raggiungerlo a Liegi per realizzare un sogno comune: aprire un ristorante in cui potersi sbizzarrire portando in tavola piatti estrosi e originali.
Inizia così il viaggio di Guglielmo Testa attraverso l’Europa e attraverso la Storia. Come unico bagaglio avrà con sé un prezioso dono di suo padre: un quaderno di pelle d’agnello pieno di ricette, in cui è racchiusa l’arte magica della cucina. Un’arte capace di preservarlo dalla tragedia della guerra e di renderlo, nello stesso tempo, oggetto delle attenzioni sgradite di chi, in un mondo che si avvia verso la rovina, si ostina a inseguire i piaceri della buona tavola.