È il 1938 e la tredicenne Sofia vive in una masseria nel Gargano insieme alla sua grande famiglia, affollata di fratelli, cognate, nonni e nipoti. In quella casa ci sono tante stanze da letto quante le dita di una mano, e tutte ruotano attorno a quella centrale, che è bianchissima, misteriosa e nessuno vi può accedere. È la stanza del Santo: lì accadono i prodigi, ci si va solo per fare i figli. Sofia sa che lei non varcherà mai quella soglia. Suo padre, con «parole che hanno i denti», le ha spiegato che un marito vuole una donna utile, e che lei non lo è. Perché non sa fare niente, perché è lenta, soprattutto coi numeri: è nata con la luna bugiarda. Così Sofia si aggira tra la masseria e il campo di grano, sentendosi sola, diversa, un errore. L’unica persona con cui può parlare è il suo amico Pasquale, e a lei piace, ogni tanto, correre da lui. Ma Pasquale è di San Nicandro, e la gente di lì ha aderito a una setta strana e misteriosa. Loro non mangiano il salame, il sabato fanno sempre sciopero e per diventare veri uomini devono tagliuzzarsi là sotto. Suo padre l’ha ammonita di non parlare con quelli, è pericoloso, potrebbero contagiarla. Il loro capo, Donato Manduzio, è un losco individuo capace di vedere cose che gli altri non vedono e di compiere guarigioni ma anche malocchi, e in paese si vocifera che per cercare aiuto e protezione abbia avuto la bella idea di scrivere una lettera al Duce…
«Le parole hanno i denti. A volte possono sorridere, a volte possono mordere e non significano mai quello che significano. Vento vuol dire mondo, e tante altre cose. Vento è pensare e ricordare. Te lo senti addosso senza sapere se c’è davvero e di quello che tocca porta dietro qualcosa. Muove i cerri del bosco, fischia nei camini dei mezzadri, si mischia ai pianti delle chiangiamurti e si infila tra le corna di una carcassa sui campi. Quando arriva qui non è più solo vento. È terra, fuoco e mondo. E io che me lo sento addosso sono terra, fuoco e mondo».
«Il realismo intimo di Tommaso Avati si ripropone in una ballata letteraria armonica, che passa attraverso i corpi, i desideri, le leggi razziali, i luoghi di un’italia meridionale bella e dannata che non può essere ridotta ad una sola dimensione e quindi si dipana lungo un percorso che ha tutte le caratteristiche di una dolorosa presa di coscienza. Inevitabile»
Chiara Roverotto, Il Giornale di Vicenza